non_si_puo_attibuire_la_paternità_se_il_presunto_papa_ha_un_gemello

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Per il giudice il test del Dna non è attendibile visto che i gemelli hanno la stessa mappa cromosomica

Una volta si diceva che solo la madre è sempre certa.
Oggi, con il test del Dna, le cose cono cambiate e sull’attribuzione della paternità non si possono avere dubbi.
A meno che il presunto padre non abbia un gemello: almeno questo è quello che ha stabilito la corte di appello di Venezia chiamata a giudicare il caso portato in aula da una donna veronese che era sicura di aver trovato suo padre.

La storia non è di certo tra quelle più comuni.
La causa per l’attribuzione della paternità iniziò nel 2010 presso il tribunale civile di Verona, per iniziativa di una donna di oltre sessant’anni che era sicura di aver trovato l’uomo che era davvero suo padre.

Ne era convinta perché era stata la madre, in punto di morte, a confessarle chi fosse: un uomo che fin da bambina aveva imparato a conoscere senza sapere che fosse suo padre.
Lei era il frutto di una relazione clandestina tra i due ed il test del Dna sosteneva questa tesi.
La donna ha prodotto in aula documenti e fotografie della madre insieme al suo presunto padre e c’è stata anche la testimonianza della sorella maggiore che nel 1945 sorprese la mamma a letto con quell’uomo.
Ci sono state poi le testimonianze di quelle persone che avevano visto i due insieme mentre si baciavano e molti avevano anche assistito al gesto dell’uomo che aveva deposto una sua fotografia sulla bara della donna che si diceva fosse stata la sua amante.
Ultima su tutte, la prova del Dna: inconfutabile, anche a detta del perito nominato dal giudice.
Eppure l’anziano uomo, presente in aula, ha sempre negato l’attribuzione della paternità.

Ma in virtù della perizia che confermava il rapporto di paternità biologica il tribunale di Verona accolse nell’ottobre del 2012 la richiesta di riconoscimento.
Il presunto padre però, deceduto mentre la causa si svolgeva, non riuscì ad ascoltare la sentenza.
La vicenda poteva quindi dirsi conclusa, ma così non è stato.

L’uomo aveva un figlio riconosciuto ufficialmente che decise di opporsi all’attribuzione della paternità ricorrendo in Appello.
La corte di Venezia venne quindi chiamata a riesaminare il caso.
I giudici analizzarono di nuovo le prove documentali del precedente grado di giudizio, ma stavolta la sentenza fu diversa: nessuna figlia segreta, non è possibile attribuire la paternità anche se il test del Dna è una prova attendibile.
Come mai?

Il presunto padre, si legge nella sentenza, aveva un fratello gemello omozigote che all’epoca del concepimento viveva a Verona, da qui la “conseguente impossibilità di utilizzare i marcatori genetici per definire con sufficiente margine di certezza il rapporto di paternità”.
Secondo il giudice nel caso di fratelli gemelli con la stessa mappa cromosomica non si può considerare attendibile come prova l’esito del test effettuato sul sangue.
I due gemelli per di più si assomigliavano, quindi anche i testimoni avrebbero potuto confonderli.

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